Notizie storiche
Federico II° di Svevia
Federico II nacque a Jesi il 26 dicembre
1194 dall'Imperatore Enrico VI e da Costanza d'Altavilla. Il padre,
per consolidare il potere nella sua Casa, pensava di dichiarare
solennemente che la corona era in essa ereditaria; ma, per evitare
un'aperta ribellione dei maggiori feudatari, si limito' a far
eleggere Federico re dei Romani. Questi alla morte del padre (settembre
1197) aveva appena tre anni, e stette sotto la tutela della madre,
la quale governo' con prudenza il regno di Sicilia agitato dalle
lotte fra i signori tedeschi e normanni. Costanza riconobbe la
signoria feudale del pontefice Innocenzo III (Lotario dei conti di
Segni, 1198-1216), rinuncio' per Federico all'Impero, concluse un
concordato che riduceva i diritti del sovrano nella nomina dei
vescovi a un semplice consenso, rinunciando a quei grandissimi
diritti che avevano esercitato i sovrani normanni. Ma Costanza segui
presto nella tomba il marito (1198), affidando il figlio alla tutela
del pontefice, mentre il regno di Sicilia ridiventava campo di
contesa tra feudatari tedeschi e nobili normanni, fra pretendenti
alla successione normanna e legati pontifici. L'azione energica di
Innocenzo, come sovrano e come tutore, riusci' a consolidare nel
regno di Sicilia la sua autorita' e, dopo parecchi anni di lotte,
specialmente contro i feudatari tedeschi, pote' farsi consegnare il
piccolo Federico (1206). L'abilita' politica del papa s'era gia'
dimostrata in Germania, dove alla morte di Enrico VI, il fratello
Filippo di Svevia sembrava volesse far proclamare Imperatore
Federico, in nome del quale avrebbe continuato a tenere il governo
della Germania. In realta' fu proclamato Imperatore Filippo,
candidato dei Ghibellini, a cui i Guelfi opposero il figlio di
Enrico il Leone, Ottone di Brunswick, che fu riconosciuto come re
anche dal pontefice (1201). La
lotta fra i due avversari in Germania si chiuse solo con la morte di
Filippo (1208), ucciso per rancori privati da Ottone di Wittelsbach.
Ottone IV riconobbe al papa le riconquiste nella marca d'Ancona,
nella Romagna e nel ducato di Spoleto, oltre alla signoria feudale
sul regno di Sicilia (bolla di Spira), e scese in Italia per
ricevervi la corona imperiale e sistemare i suoi rapporti italiani
(1209); ma volendo far valere le prerogative e le pretese della sua
dignita' imperiale non tardo' a entrare in lotta con il papa. Questi
allora scomunico' Ottone, sciogliendo i sudditi dal giuramento di
fedelta' ed eccito' contro di lui la Lega Toscana; poi si accordo',
contro Ottone e contro il re inglese Giovanni Senzaterra suo alleato,
con Filippo Augusto re di Francia, ed entro' in trattative con i
principi tedeschi per ribellarli all'Imperatore. Si formo' allora in
Germania una fazione che offri la corona a Federico re di Sicilia,
riconosciuto e benedetto dal papa suo tutore, il quale gli fece
concedere in matrimonio dal re Pietro II d'Aragona la figlia
Costanza. Alla mossa di Innocenzo, Ottone rispose avanzando
nell'Italia meridionale; ma la bolla di scomunica pubblicata
dall'arcivescovo di Magonza, suscitando la ribellione dei feudatari,
obbligo' Ottone a ritornare in fretta in Germania. Federico, che
aveva promesso al papa e ai baroni siciliani di non riunire mai le
due corone di Germania e di Sicilia, fu impedito dalle citta'
italiane rimaste fedeli a Ottone, e non pote' inseguirlo
immediatamente. Si reco' allora per mare a Genova, di dove con poca
scorta passo' a Cremona. Attraverso Costanza e Aquisgrana, giunse
quindi a Magonza per ricevervi la corona reale (1212). Ottone,
sconfitto dai feudatari ribelli a Breisach, venne definitivamente
vinto da Filippo Augusto a Bouvines presso Lilla (1214), e, sfuggito
alla morte in battaglia, mori oscuramente quattro anni dopo.
Dopo la sua incoronazione a Magonza, Federico promise al papa
di far cessare ogni abuso contro la liberta' di elezione dei vescovi,
rinuncio' sia al diritto di riscuotere le entrate delle chiese
vacanti, sia a quello di ereditare il patrimonio dei prelati, e
riconobbe nella forma piu' ampia la giurisdizione dei vescovi in
materia spirituale e il diritto di appello al pontefice in cose
ecclesiastiche (1213). Soprattutto promise alla Chiesa il libero e
sicuro possesso dei territori gia' appartenenti a essa di cui
Federico si fosse impadronito, cioe' la regione da Radicofani a
Ceprano, la marca di Ancona, il ducato di Spoleto, i beni della
contessa Matilde, la contea di Bertinoro, l'esarcato di Ravenna e la
Pentapoli, costituita dalle citta' di Rimini, Pesaro, Fermo,
Senigallia e Urbino, con le terre adiacenti. Inoltre era
riconosciuta l'alta sovranita' pontificia sulla Corsica e sulla
Sardegna. Nel 1215 Federico II venne incoronato una seconda volta;
l'anno seguente mori' Innocenzo III, il quale aveva fatto proprie,
in una forma anche piu' accentuata, le idee teocratiche di Gregorio
VII e durante il suo pontificato si era sforzato di realizzarle.
Federico, giovane poco piu' che ventenne, re di Sicilia e di
Germania e designato all'Impero, libero dalla tutela del papa,
poteva cominciare a svolgere la sua politica personale. Poco prima
che il pontefice morisse, Federico aveva formalmente rinnovato la
promessa di tenere separato il regno di Sicilia dall'Impero, e aveva
assegnato al figlio Enrico come concessionario della Santa Sede
tutti i territori di qua e di la' dallo Stretto, affidandone il
governo, durante la minore eta' del figlio, a persona che sarebbe
stata soggetta e devota alla Chiesa romana. Scomparso il suo autore,
egli si affacciava alla vita pienamente libero, con la
consapevolezza di un potere che era il maggiore dei suoi tempi, con
il suo impeto passionale, con l'ambizione che le sue forze potevano
stimolare, con la sua concezione larga della cultura e della vita,
che spiega tanto il suo interesse alle osservazioni e alle
esperienze naturali quanto la sua tolleranza e anche benevolenza
verso l'islamismo, tanto la sua tendenza allo scetticismo venata
d'incredulita' quanto la sua liberta' di costumi, quasi
inconcepibile per la mentalita' medievale. A tutto cio' Federico
accoppiava, come il nonno, una concezione politica assolutistica,
che doveva porlo in contrasto sia con i diritti accresciuti dei
feudatari, sia con le liberta' dei Comuni rivendicate a Legnano e a
Costanza, sia con i privilegi della Chiesa e con l'autorita' che
essa, per bocca di Innocenzo III, si era attribuita di direttrice
suprema di tutta quanta la vita della cristianita'.
Quando mori' Innocenzo, nulla lasciava prevedere nel giovane
sovrano l'Imperatore deciso a rivendicare in pieno il suo potere;
era allora il principe piu' fortunato e insieme il piu' umile e
remissivo dei sovrani d'Europa. Al pontefice aveva promesso non solo
di separare le due corone di Germania e di Sicilia, ma anche di
guidare una crociata in Terra Santa: a Magonza aveva vestito le
insegne di crociato, e si era impegnato a partire, secondo il
desiderio del pontefice, al piu' presto per l'Oriente, per
ritogliere Gerusalemme agli infedeli. Ma per quanto l'infelice
risultato della quinta crociata, proclamata dal Concilio Lateranense
e guidata contro l'Egitto da Andrea d'Ungheria, Leopoldo d'Austria e
Giovanni di Brienne (1217), rendesse urgente un nuovo intervento,
Federico procrastinava la partenza, considerando questa impresa come
un'inutile dispersione delle sue forze.
Il nuovo pontefice Onorio III (1216-27) era incapace di
comprendere le difficili condizioni politiche del tempo, soltanto
preoccupato che si compisse quella crociata che avrebbe dovuto
portare alla riconquista di Gerusalemme. Fin dal principio del suo
pontificato, non penso' che ad incitare i principi cristiani
d'Europa; e poiche' nulla si concludeva, comincio' a rigettare la
responsabilita' dell'insuccesso sull'Imperatore, che se ne rimaneva
inoperoso in Europa, e prese a incitarlo perche' si decidesse a
mantenere la promessa ripetutamente rinnovata. In realta' Federico
non poteva abbandonare alla loro sorte il regno di Sicilia e il
regno di Germania, tormentati da un ventennio di disordini e di
anarchia; specialmente non poteva abbandonare l'Italia meridionale e
la Sicilia, la cui situazione si presentava assai piu' grave di
quella della Germania. Tuttavia Federico non venne a rottura con il
papa, perche' seppe tenerlo a bada approfittando del carattere
pacifico di lui; anzi, rinnovando la promessa della crociata,
ottenne l'incoronazione imperiale (1220) e il diritto di conservare
la Sicilia. Onorio III pero', di fronte al continuo indugio di
Federico, giunse ad assumere un contegno piu' risoluto ed energico,
sicche' il sovrano nel 1225 s'impegno' a partire entro due anni per
la crociata, pena la scomunica. A conferma del suo impegno sposo'
Iolanda, figlia di Giovanni di Brienne, re titolare di Gerusalemme.
Il conflitto, che con Onorio non giunse a estreme conseguenze
perche' poco prima della scadenza del termine fissato per l'impresa
d'Oriente questi mori', esplose violento con il vecchio Gregorio IX
(1227-41), uomo ben altrimenti energico, uscito dalla stessa
famiglia di Innocenzo III e assertore delle stesse idealita' del
grande pontefice. Gregorio rivolse esortazioni e minacce a Federico
per indurlo a compiere la crociata, e l'Imperatore finalmente
dovette partire da Brindisi 1'8 settembre 1227; ma dopo tre giorni
di navigazione approdo' a Otranto, colpito dalla pestilenza che gia'
alla partenza infieriva nell'esercito. A questa notizia il pontefice
lancio' contro Federico la scomunica (29 settembre), motivandola
anche con altre ragioni, quale il governo ecclesiastico di Federico
in Sicilia. Questi rispose revocando le concessioni fatte alla
Chiesa romana, in particolare riguardo ai beni della contessa
Matilde, e suscitando tumulti nella stessa Roma contro il papa, che
dovette uscire dalla citta'. Invio' inoltre una lettera ai sovrani
d'Europa in propria difesa, e parti un'altra volta per la crociata
con forze ridotte a sole 40 galee, sconfessato pero' da Gregorio,
che ne inceppo' l'azione proibendo ai cattolici di seguirlo (1228).
La nuova crociata, che era la sesta, fu cosi condotta da uno
scomunicato; e percio' da alcuni non viene considerata come tale.
Sbarcato in Terra Santa, Federico prosegui anche la' quella
politica realistica di compromessi che gia' aveva adottato con i
musulmani di Sicilia e di altre terre: uso' la diplomazia invece
delle armi, e concluse con il sultano d'Egitto al Malik al Kamil un
armistizio di dieci anni, ottenendo per i cristiani la restituzione
di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e altre citta', oltre a uno
sbocco al mare, in cambio della promessa di non dare aiuti ai
principati di Tripoli e di Antiochia se essi avessero fatto guerra
al sultano. A Gerusalemme Federico cinse la corona reale con le
proprie mani, perche' gli ecclesiastici lo evitavano come
scomunicato; poi rapidamente torno' in Italia, dove gravi
avvenimenti reclamavano la sua presenza.
Gregorio IX infatti, dopo la scomunica di Federico, promosse
una rivolta in Germania con la predicazione dei Domenicani e con
l'accordo dei feudatari; e, approfittando dell'assenza
dell'Imperatore, fece invadere l'Italia meridionale da un esercito
pontificio sotto il comando del suocero stesso di Federico, Giovanni
di Brienne, il quale, essendo gia' morta sua figlia Iolanda, per
ragioni di interesse era divenuto ostile a suo genero. Al suo
ritorno Federico cerco' di inviare legati a Gregorio per spiegare la
sua condotta, e scaccio' l'esercito invasore dal suo regno. Il
pontefice si trovo' isolato, perche' non aveva sufficiente aiuto dai
comuni lombardi, e tanti principi tedeschi restavano fedeli a
Federico; sicche' dovette accettare la pace che questi gli offriva.
Il patto fu concluso a San Germano (1230) sulla base dello status
quo ante, e il papa sciolse l'Imperatore dalla scomunica (28 agosto).
Comincio' allora un periodo di relativa calma, che si protrasse per
alcuni anni, documentato dall'arrivo di Federico a Roma e dalla
confidenziale accoglienza fattagli dal pontefice, il quale ratifico'
poi (1231) la politica dell'Imperatore in Terra Santa, ordinando al
Gran Maestro dei Templari di far rispettare l'accordo concluso nel
1229. Federico aveva cercato un accomodamento perche' non aveva in
realta' nessun interesse diretto a condurre allora una lotta contro
la Chiesa, mentre voleva perseguire i suoi fini politici in Sicilia
e, contro i comuni, nel regno d'Italia. Sennonche' cio' che Federico
aveva operato era effimero: dopo sedici anni Gerusalemme era ripresa
dai Turchi, e la pace con il papa non duro'.
Federico approfitto' di questi anni di tregua per dare
ordinamento alle cose dell'Impero e del regno. Nato ed educato in
Italia, predilesse la penisola, dove rimase per la maggior parte
della sua vita, e considero' il regno di Sicilia come il vero centro
del suo dominio, occupandosi poco della Germania, dove favori' i
grandi feudatari, specialmente ecclesiastici, concedendo loro
privilegi e diritti di governo in modo da renderli quasi
indipendenti dal potere regio, e sanzionando perfino, in una dieta
riunita a Cividale (1232), la loro sovranita' territoriale. Cerco'
inoltre di rafforzare il loro potere sulle citta', annullando i
privilegi che esse avevano conseguiti o usurpati nel corso del
tempo. Alla cristianizzazione e alla germanizzazione delle province
orientali Federico non partecipo' direttamente: esse furono opera di
principi, come i marchesi di Brandenburgo, e dei Cavalieri Teutonici.
La Prussia occidentale fu pero' convertita da Cistercensi polacchi;
e nelle province baltiche la penetrazione del cristianesimo fu opera
specialmente di Alberto vescovo della citta' di Riga, da lui fondata
(1201), e istitutore dell'Ordine cavalleresco dei Portaspada, che
venne unito poi con quello Teutonico (1237).
La politica di Federico a favore dei feudatari, se sotto
qualche aspetto era un mezzo per creare antagonismi fra i diversi
elementi della vita germanica, corrispondeva pero' alla politica
anticomunale che egli perseguiva. Tale indirizzo politico coincideva
con quello del figlio Enrico, proclamato maggiorenne nel 1229.
Queste misure suscitarono malcontenti e altri ne suscito' la
politica di ostilita' e di persecuzione contro gli eretici adottata
da Federico in accordo con il pontefice. Enrico, forse tratto a dare
altro indirizzo al suo governo vicariale in Germania o incoraggiato
dalle crescenti difficolta' a fare una politica personale e
indipendente, fini' pero' con il trovarsi a capo dei malcontenti,
che, prima dissenzienti, si ribellarono poi apertamente. Pare che
Enrico volesse seguire una politica favorevole ai comuni; ma,
richiamato dal padre nel Friuli, fu costretto a giurare che avrebbe
seguito gli ordini e la politica paterna. Non tenne pero' fede alla
parola giurata: in un abile manifesto, nel quale protestava di non
voler mancare ai doveri filiali ne' offendere l'autorita' imperiale,
mostro' in realta' di voler insistere nelle sue direttive politiche,
levando in questo modo lo stendardo della rivolta. Federico si reco'
in Germania per fronteggiare i ribelli con l'azione militare, e
cerco' di rendere vani gli effetti d'una situazione che Enrico aveva
complicata con aiuti stranieri. Fu evitato un intervento di Enrico
III, re d'Inghilterra, perche' Federico ne sposo' la sorella
Isabella; e le citta' italiane che gia' accennavano a far capo a
Enrico, furono tenute lontane dalla lotta perche' l'Imperatore
deferi' al pontefice la risoluzione delle numerose controversie
sempre risorgenti. La rivolta in Germania pote' essere domata
(1235); ed Enrico, che si era sottomesso, fu relegato in Puglia,
dove mori' suicida sette anni dopo (1242). Lasciando la Germania per
tornare in Italia (1237), Federico sostitui' ad Enrico il suo
secondogenito Corrado, appena novenne, che fece eleggere re e
designare Imperatore sotto la tutela dell'arcivescovo di Magonza,
creato procuratore imperiale di Germania. Ora
Federico, non dovendosi piu' preoccupare della Germania, cerco' di
attuare in pieno quella politica anticomunale e assolutistica che
gia' aveva cominciato a svolgere in Italia e nel regno di Sicilia.
Qui cerco' di attuare i suoi ideali politici mediante il
riordinamento di tutta l'amministrazione, e attese a quest'opera
sistematicamente, anche se di tanto in tanto le vicende politiche e
militari lo costrinsero a interromperla. Emano' quindi provvedimenti
diversi, i quali tutti si assommarono e culminarono nelle famose
Constitutiones Regni Siciliae, che furono dette comunemente
Costituzioni di Melfi (1231) perche' fatte accettare e proclamare da
una dieta convocata a Melfi. In questa, accanto ai rappresentanti
della nobilta', si trovarono i rappresentanti del clero e della
borghesia, perche' le costituzioni stesse sancivano il principio
dell'uguaglianza di fronte al sovrano e alla legge di tutti i
sudditi, fossero nobili o meno. Si tratta di una raccolta di alcune
delle migliori disposizioni legislative date dai Normanni e di
moltissime leggi di Federico. Le informa l'ideale dell'assolutismo
sovrano e vi si sente, con il pulsare dei tempi nuovi, l'interesse
per il diritto di Giustiniano, al quale si ispirarono i due
consiglieri di Federico, Taddeo da Sessa e Pier delle Vigne,
seguendo le orme dei giuristi di Bologna e della Sorbona. Si dava al
regno un carattere burocratico, per cui ogni autorita' doveva
dipendere dal re ed essere esercitata da lui o dai suoi ufficiali. A
capo dell'amministrazione gerarchicamente organizzata stavano una
Magna Curia o tribunale supremo per la giustizia, e una Magna Curia
Rationum o Corte dei conti per le finanze. Sotto il Gran giudice,
capo del tribunale supremo, stavano nelle province i giustizieri (giudici
criminali e capi di polizia); sotto il Gran Camerario, capo della
seconda Curia, stavano i camerari per gli affari finanziari e civili.
Inferiori ai giustizieri e ai camerari erano i baiuli, con funzioni
miste. Anche all'esercito e alla marina fu dato notevole sviluppo, e
fu costituita un'amministrazione militare centrale. Un'altra
questione importante risolta fin da principio da Federico fu quella
dei musulmani di Sicilia, tradizionalmente fedeli e devoti alla
monarchia ma irrequieti e turbolenti, anche per la generale
avversione che verso di loro sentivano i cristiani. Federico li
trasferi' in parte a Lucera nella Puglia e in parte a Nocera in
Campania, che fu percio' detta dei Pagani. La colonia di Lucera fu
particolarmente numerosa, e il re vi costrui' un castello per
tenerla a freno; ma ne trasse anche esperti coltivatori e valenti
soldati. Sottomise la Chiesa alla giurisdizione e al fisco regio,
non consentendole giurisdizione sui laici se non per l'adulterio, e
vietandole di acquistare terre; non consenti' che si ricorresse a
Roma se non per cause religiose. Mirabile impulso ricevette anche la
cultura. Poiche' Bologna si era schierata contro Federico, egli
decreto' il trasporto della sua universita' a Napoli; il
trasferimento non avvenne, ma a Napoli sorse lo Studio Generale
(1224). Da esso uscirono i migliori collaboratori di Federico,
coloro che posero la propria scienza e la propria esperienza
politica a servizio dell'Imperatore e del suo ideale politico, come
i gia' ricordati Taddeo da Sessa e Pier delle Vigne. Fu curato il
miglioramento della scuola salernitana di medicina, e la corte di
Palermo divenne un centro importantissimo della nascente poesia
volgare; poeto' lo stesso Federico, e poetarono anche i suoi figli.
Federico riusci ad affermare la sua autorita' e a imporsi
dando l'impressione di essere il primo sovrano assoluto dei tempi
moderni. Sotto di lui il regno di Sicilia godette di un periodo di
prosperita' mai avuto in altri tempi. Esso costituiva il centro
dell'organismo politico piu' vasto che ci fosse in Occidente;
nell'interno vi era pace e l'autorita' del re e le sue leggi erano
rispettate. Fiorivano la produzione economica e gli scambi, per
quanto lo consentivano le condizioni naturali del Paese e le norme
legislative; la cultura si diffondeva tra i laici. Poteva sembrare
che quel regime dovesse essere duraturo; ma nello Stato e fuori di
esso crescevano i germi dissolvitori e le forze avverse, come il
papato, i feudatari e i comuni.
Doveva fatalmente ricostituirsi l'alleanza fra il papato e i
comuni contro l'Imperatore quando questi, riordinato il regno di
Sicilia, volle estendere la sua influenza su tutta l'Italia,
riprendendo per suo conto la causa perduta dal nonno Barbarossa.
Negli anni trascorsi dalla tregua di Venezia (1177) e dalla
pace di Costanza (1183) fino all'avvento al potere di Federico II il
corso della vita dei comuni italiani, che sentivano di avere
assicurata per lungo tempo la loro indipendenza politica, assunse un
ritmo di rapido e febbrile accrescimento. La popolazione venne
aumentando; alcune citta' costruirono nuove cinte di mura a difesa;
si accrebbe la potenza della nuova borghesia; si svolse un'attiva e
rinnovatrice politica agraria; si fece piu' manifesta la crescente
preminenza di alcune citta' a danno di comuni minori; si svolse
meglio il nuovo diritto civile; si codificarono consuetudini e si
contrapposero al vecchio diritto feudale; la bellezza delle citta',
fattesi indipendenti, si accrebbe in ragione della ricchezza,
dell'orgoglio, del senso artistico dei cittadini.
Duravano tuttavia le lotte delle citta' fra loro, e quelle
fra citta' e feudatari; entro ogni comune si scontravano opposte
fazioni di cittadini, e di la' dalle mura proprietari e contadini;
ne' si combatteva isolatamente, ma si stringevano e si scioglievano
con rapidita' leghe fra gruppi di citta' ostili. Tuttavia il regime
comunale si venne diffondendo largamente nell'Italia continentale,
perfino nei territori appartenenti al papa come la Toscana, dove
Enrico VI riconobbe il comune di Firenze e la sua giurisdizione sul
territorio circostante, e dove Firenze, pacificatasi con Siena e
accordatasi con Lucca, con Prato e con San Miniato, getto' le basi
di una vasta Lega Toscana, da cui era esclusa Pisa (novembre 1198).
Nel patto d'alleanza le citta' dichiaravano di essersi strette in
lega per mantenere fra loro la pace, s'impegnavano ciascuna a non
far pace separata con re o imperatori, e aggiungevano che non
avrebbero riconosciuto alcun re o Imperatore senza il consenso del
pontefice. Era questo un emanciparsi tanto dalla giurisdizione dei
re d'Italia quanto dall'Impero; ma la Lega Toscana, nonostante le
sue reverenti espressioni, mirava a emancipare i propri comuni anche
dalla Chiesa. Il fenomeno comunale si era diffuso anche nell'Italia
meridionale e nella Sicilia, dove la forte compagine della monarchia
normanna era riuscita a frenarlo, e dove poi cerco' di paralizzarlo
con leggi e riforme Federico II. Per qualche tempo questi fu
assorbito dalla lotta civile contro Ottone IV per il regno di
Germania, e alle sorti dei comuni italiani non dedico' molta
attenzione. Cio' non toglie che la lotta che si svolgeva in Germania
avesse ripercussioni tra le citta' guelfe e ghibelline d'Italia,
tanto che Milano aveva sostenuto Ottone contro Federico appoggiato
da Innocenzo III. Nel 1213 Federico pronuncio' il bando contro
Milano, Piacenza, Lodi e altre citta' guelfe in lotta contro altre
citta' ghibelline; ma grazie all'intervento pontificio le divergenze
furono appianate, e Federico continuo' a rispettare il trattato di
Costanza. Quando poi per la Pasqua del 1226 l'Imperatore indisse una
grande dieta a Cremona, nel cuore del regno d'Italia, le citta'
lombarde furono vivamente impressionate, sia perche' Federico voleva
parteciparvi con numerose forze armate, reclutate in Sicilia e in
Germania, sia per il programma che si annunciava. Il programma
dichiarato era quello di prendere gli ultimi accordi per la crociata
a cui Federico si era impegnato; ma egli voleva anche affermare
sulla penisola italiana la sua autorita'. Allora parecchie citta'
della Lombardia, del Piemonte, del Veneto e dell'Emilia rinnovarono
la lega del 1167, e con le loro forze armate chiusero i passi che
dal Trentino scendono in Italia. Le richiese della Lega diedero
luogo a difficili trattative, nelle quali Federico si mostro'
abbastanza remissivo; ma un accordo non fu raggiunto, ed egli
rinnovo' contro le citta' colpevoli di lesa maesta' il bando
dell'Impero. Con le citta' erano messi al bando i sudditi feudali
che fossero rimasti loro fedeli e i loro amici e alleati senza
distinzione (12 luglio 1226).
Nemmeno allora Federico agi subito contro i comuni; anzi
richiese l'intervento di Onorio III, che accetto' ma non condusse a
termine quella missione difficile e delicata perche' colto dalla
morte. Si e' gia' visto come Federico fosse scomunicato da papa
Gregorio IX e che questi si alleasse con la Lega Lombarda. La pace
di San Germano (Cassino) ristabili' un accordo, sia pur provvisorio;
ma la promulgazione delle Costituzioni di Melfi apri' la via a nuovi
dissidi con Gregorio IX, che protesto' vivacemente contro il loro
contenuto e defini' Federico "persecutore della Chiesa e
distruggitore delle pubbliche liberta'". Decisa fu poi l'opposizione
a quelle leggi dei comuni del regno di Sicilia e di quelli
dell'Italia settentrionale, sudditi anch'essi dell'Imperatore e re
d'Italia. Federico procedette allora duramente contro le citta'
siciliane ribelli, mise a morte i capi dell'insurrezione, rase al
suolo Centuripe e Montalbano e ne deporto' gli abitanti in una citta'
di nuova fondazione, Augusta; quindi indisse una nuova dieta per il
regno Italico in Ravenna, mandando nello stesso tempo una serie di
avvisi e di intimazioni ai diversi comuni d'Italia e di Germania per
riaffermare la sua autorita' nei due regni. I comuni della seconda
Lega Lombarda rinnovarono immediatamente la loro alleanza, e a essi
si unirono molti altri comuni italiani, sorti da poco; poi chiusero
di nuovo i passi delle Alpi, e decisero di non intervenire alla
dieta.
Questa ebbe luogo con l'intervento di pochi rappresentanti, e
contro i comuni fu rinnovato il bando. L'appello dell'Imperatore
alla mediazione pontificia non aveva avuto buon risultato per
l'intransigenza delle citta'. L'Imperatore, non sentendosi
abbastanza forte contro i comuni si appoggio' ad alcuni signori che
aspiravano a dominare nelle citta', principali fra essi Ezzelino da
Romano e suo fratello Alberico, potentissimi signori della marca
veronese, divenuti podesta' l'uno di Verona e l'altro di Vicenza, i
quali potevano facilitargli le comunicazioni con la Germania. A
questa politica i comuni risposero sostenendo il figlio
dell'Imperatore, Enrico, nella sua ribellione contro il padre (1234)
e divampo' la guerra. Domata la ribellione in Germania, Federico si
accinse alla guerra contro i comuni, presumendo che la questione
italiana sarebbe stata in breve risolta. Alla testa di forze piu'
considerevoli del solito, approfittando dell'accordo con Ezzelino,
Federico scese in Val Padana, assoggetto' Bergamo, prese e
saccheggio' Vicenza (1236), costrinse Mantova a staccarsi dalla Lega,
occupo' Padova, e in un inaspettato fatto d'armi sconfisse a
Cortenuova presso Bergamo l'esercito della Lega (27 novembre 1237).
Tutte le citta' della Lega dovettero arrendersi al vincitore, il
quale, annullata la pace di Costanza, diede un nuovo ordinamento
generale al regno d'Italia. Tutto il territorio a nord del regno di
Sicilia e di Puglia, escluso il territorio della Chiesa, avrebbe
avuto un luogotenente imperiale, e sarebbe stato diviso in cinque
parti sotto cinque vicari; le principali citta' avrebbero avuto dei
funzionari militari e civili, cioe' dei capitani e dei giustizieri.
Fu un trionfo effimero, e l'Imperatore ebbe torto a farsi
delle illusioni. Le forze della Lega non erano prostrate: Milano e
Brescia resistevano, e la volonta' della rivincita non poteva
tardare a risorgere negli altri comuni, mentre i rapporti di
Federico con la Chiesa erano diventati sempre piu' tesi. Dopo la
battaglia di Cortenuova e dopo che erano fallite le prime trattative
di Federico con i comuni, Gregorio IX aveva proposto ancora la sua
mediazione alle due parti (giugno 1238); ma la proposta fu respinta
dall'Imperatore, e inoltre poco dopo i Ghibellini in Roma si fecero
cosi' minacciosi da costringere il papa ad abbandonare la citta'. Il
pontefice, riuscito a rafforzare la Lega Lombarda con un accordo dei
Veneziani e dei Genovesi fra loro e con lui (30 novembre 1238),
lancio' di nuovo la scomunica contro Federico, sciogliendo i sudditi
dal giuramento di fedelta' (20 marzo 1239). Uno dei tanti pretesti
per rinnovare la lotta fu il matrimonio concluso da Federico tra
Enzo, suo figlio naturale, e Adelasia, signora d'una parte della
Sardegna, e il titolo di re di Sardegna dato dall'Imperatore al
figlio, mentre l'isola era considerata dai papi soggetta alla loro
sovranita', e tale era stata riconosciuta nel 1213 dallo stesso
Federico. Questi, cerco' di difendersi dalle sedici accuse contenute
nella scomunica con una lettera indirizzata ai principi e ai popoli;
segui' una serie di libelli redatti dalle due cancellerie, papale e
imperiale, con i quali per la prima volta si faceva appello
all'opinione pubblica nella grande contesa fra le due parti.
L'Imperatore, deciso ad adoperare le armi contro Gregorio, mosse su
Roma (febbraio 1240); ma il pontefice seppe mantenere dalla sua
parte il popolo, e Federico si ritiro'. Intanto si svolgeva aspra
laguerra fra Guelfi e Ghibellini nell'Italia superiore: Ezzelino
inferociva nella marca trevigiana; i Veneziani, eccitati dal papa,
assalivano la Puglia, e alla guerra marittima partecipavano anche i
Genovesi, mentre contro le due repubbliche Federico eccitava da una
parte la ribellione di Pola e di Zara e dall'altra i Pisani e il
feudatario Oberto Pelavicino.
Federico aveva proposto al papa di convocare un concilio per
decidere sulle reciproche accuse, ma Gregorio non poteva accettare,
non volendo ammettere la costituzione di un ordine giurisdizionale
al di sopra dell'autorita' pontificia. Il papa convoco' invece un
concilio generale per condurre a termine la dura lotta e ratificare
la condanna di Federico. Questi vieto' ai prelati suoi sudditi di
parteciparvi, e cerco' di impedire che il concilio si riunisse. I
Genovesi si offrirono di trasportare via mare da Nizza a Ostia i
prelati francesi, inglesi e spagnoli; ma Federico invio' loro contro
l'armata di Sicilia sotto il comando del profugo genovese Ansaldo
de' Mari, il quale, unitosi con una squadra pisana, assali' e vinse
presso l'isola del Giglio la flotta genovese e fece prigionieri i
prelati, che in parte si riscattarono e in parte furono relegati nei
castelli di Puglia e di Sicilia (maggio 1241). Questa vittoria ebbe
grande importanza, perche' impedi' che il concilio avesse luogo e
ridiede animo alla parte ghibellina: Federico mando' l'armata
imperiale a molestare la riviera ligure e marcio' un'altra volta a
capo dell'esercito delle citta' ghibelline contro Roma, deciso a
imporre con la forza la pace al vecchio pontefice. Proprio allora
Gregorio moriva (22 agosto 1241) e dopo il breve pontificato di
Celestino IV e un anno e mezzo di sede vacante, fu eletto il
genovese Sinibaldo dei Fieschi, che assunse il nome altamente
significativo in quell'ora di Innocenzo IV(1243-54). Questi era
stato favorevole a Federico, ed era amico suo personale; ma eletto
pontefice si mostro' poco arrendevole verso Federico, che intavolo'
trattative di pace, facendo importanti concessioni. Gli accordi
fallirono perche' il nuovo pontefice voleva decidere anche il
conflitto dell'Imperatore con le citta' lombarde, di cui Innocenzo
si fece aperto tutore per averne in cambio sostegno e aiuto. Rotte
le trattative, Innocenzo si reco' su navi genovesi in Francia e
convoco' a Lione, citta' dell'Impero, quel concilio che Gregorio non
aveva potuto tenere in Roma per giudicare Federico. L'Imperatore
citato non vi si reco' in persona, ma invio' i suoi legati, fra i
quali il suo ministro Pier delle Vigne e Taddeo da Sessa, che invano
tentarono di difenderlo: non ottennero neppure che fosse fissato un
termine perche' egli potesse essere sentito personalmente. L'ultima
seduta (17 luglio 1245) si concluse con la terza scomunica di
Federico, dichiarato spergiuro, sacrilego, sospetto di eresia,
violatore della pace stabilita fra la Chiesa e l'Impero e dei suoi
doveri feudali come re di Sicilia. Egli veniva spogliato di tutte le
sue dignita', e si proibiva di obbedirgli; inoltre si invitavano i
principi tedeschi a scegliere un nuovo re, mentre per la corona di
Sicilia il pontefice si riservava ogni decisione. Federico protesto'
contro tale sentenza dichiarando che essa era un abuso di potere da
parte del pontefice; ma questi la difese con un'epistola indirizzata
ai principi, nella quale svolse la teoria papale della
subordinazione del potere temporale a quello spirituale e i frati
Mendicanti predicarono una nuova crociata contro l'Imperatore.
Alla condanna papale e alla predicazione dei monaci Federico
contrappose altre violenze e i popoli sciolti dal giuramento di
fedelta' si ribellarono contro di lui soltanto quando furono spinti a
farlo dai loro interessi materiali. In Italia, continuo' la guerra
fra Guelfi e Ghibellini: si combatte' fra le citta' collegate e
l'esercito imperiale comandato da Enzo re di Sardegna; vi fu guerra
tra Genova e Pisa; scoppiarono sommosse domate con la forza; le
congiure ordite contro la vita di Federico furono sventate. In
Germania dopo la rivolta dell'arcivescovo Sigfrido di Eppenstein,
l'Imperatore, che aveva fatto proclamare re dei Romani il figlio
Corrado, aveva affidato la reggenza dell'Impero a Enrico Raspe,
landgravio di quella Turingia che era in guerra da secoli con
l'arcivescovado di Magonza. Dopo la condanna di Lione anche il Raspe
passo' dalla parte dei nemici di Federico: e una parte dei principi
tedeschi, prevalentemente ecclesiastici, lo elesse re di Germania
(22 maggio 1246), anzi lo designo' come Imperatore. Enrico sconfisse
il vero re Corrado, ma mori' poco dopo (1247); l'opposizione guelfa
di Germania elesse allora come suo successore Guglielmo d'Olanda,
che riprese vigorosamente la lotta (1247-56). I due "re dei preti" (cosi'
furono chiamati) non riuscirono pero' a trionfare in Germania,
perche' trovarono i loro fautori quasi esclusivamente nell'elemento
ecclesiastico. Inoltre la lotta fu abilmente sostenuta per Federico
dal figlio Corrado, il quale non si perito' di invocare l'aiuto dei
nobili minori e dei comuni tedeschi, che prima l'Imperatore aveva
combattuto e cercato di umiliare. In questa occasione le citta'
tedesche ebbero modo di consolidare e di accrescere privilegi e
prerogative, che vennero meglio utilizzati in seguito, nel periodo
di disgregazione del regno. Fallirono
i tentativi fatti dal re di Francia Luigi IX per giungere a un
accordo tra Innocenzo e Federico, nel tempo in cui Gerusalemme era
di nuovo caduta in mano ai musulmani ed egli si accingeva alla nuova
crociata bandita dallo stesso Concilio di Lione. L'Imperatore,
disperando di poter piegare in altro modo il suo implacabile
avversario, decise di andare a catturarlo a Lione, dov'era rimasto
dopo il concilio, e di imporgli con la forza la pace. In Italia la
guerra si svolgeva soprattutto nella parte settentrionale, dove due
figli illegittimi di Federico, Enzo e Federico di Antiochia, insieme
con Ezzelino, capeggiavano le forze ghibelline. Ma mentre Federico
era a Torino, pronto a recarsi attraverso le Alpi nella Borgogna,
gli giunse inattesa dall'Emilia la notizia che anche la ghibellina
Parma era insorta e s'era unita alla Lega Guelfa. Egli accorse a
investire la citta' e le costrui' di fronte un'altra citta' imperiale
fortificata, a cui diede il nome augurale di Vittoria; ma una
fortunata sortita degli assediati, sorprendendo gli imperiali
impreparati e dispersi, porto' alla presa e alla distruzione di
Vittoria (18 febbraio 1248). Anche nell'Italia meridionale e in
Sicilia la situazione si era fatta grave: fra i principali motivi
che provocavano il malcontento delle popolazioni, era il fatto che
dopo l'interdetto pontificio non si potevano celebrare le funzioni
religiose. Si aggiunga che nonostante la forte pressione tributaria,
che la guerra continua aveva resa intollerabile, lo Stato doveva
contrarre prestiti a breve scadenza e a interessi usurari. Nella
corte si giudicava aspramente la politica del re, che conduceva il
Paese a rovina, e si ricomincio' a congiurare contro la sua vita.
Anche Pier delle Vigne, uno dei maggiori artefici delle Costituzioni
di Melfi e il piu' fidato dei ministri di Federico, fu accusato di
tradimento e condannato a morte; accecato in carcere, mori' poi
suicida (gennaio 1249). Pochi mesi dopo i Bolognesi sconfissero le
milizie imperiali a Fossalta (maggio 1249) e fecero prigioniero il
loro generale, il re Enzo, destinato a morire in prigione dopo lunga
detenzione (1272). La notizia colpi' crudelmente Federico, che aveva
particolare affetto per questo figlio. Tuttavia, benche' fiaccato da
tante disillusioni, volle ancora resistere e sperare nella vittoria
finale. Si ritiro' nel regno di Sicilia per riprendere la lotta, ma
mori' dopo brevissima malattia a Castel Fiorentino, presso Lucera,
il 13 dicembre 1250. Scomparve cosi' a 56 anni, in modo inatteso, il
protagonista di uno dei periodi piu' grandiosi e convulsi della
storia dell'Occidente.
Intorno a lui si pronunciarono contrastanti giudizi, per
esaltarlo o per umiliarlo: ed era naturale, perche' nonostante le
doti di cui era fornito non possedeva una perfetta unita' spirituale.
Per il suo carattere, per i suoi gusti, per le sue idee, per i suoi
atti, Federico II preannunzio' l'uomo nuovo, in certo modo il
Principe del Rinascimento italiano. Con il suo temperamento ardente
e passionale cedette ai sensi e al lusso; di intelligenza acuta e
vivace, amo' le scienze e la poesia, convinto che senza di esse la
vita dell'uomo non avrebbe avuto uno scopo degno; cresciuto in un
triste isolamento, senza i genitori, si rafforzo' nel suo animo la
convinzione che bisognava tenere nascosti agli altri i propri
disegni, e fu abilissimo dissimulatore. Fra i sentimenti che lo
mossero domino' quello della sua dignita' imperiale e la coscienza
dei doveri a lui imposti dalla sua posizione. Nella realizzazione
del suo ambizioso programma falli': i tempi non erano adatti e
troppe furono le circostanze avverse. Intorno alla sua morte doveva
fiorire, con le notizie contraddittorie, la leggenda. Una corrente
ostile a Federico lo fa morire attorniato da astrologi e da Saraceni
suoi devoti; altri narrano che indosso' l'abito dei Cistercensi e
mori' confessato e assolto dall'arcivescovo di Palermo, Berardo, suo
amico. Per le sue lunghe lotte contro il pontefice fu identificato
con l'Anticristo delle profezie dell'abate Gioacchino da Fiore; ma
poiche' l'Anticristo non poteva morire se non dopo compiuta la sua
opera nefasta, si svolse la leggenda che Federico II non era morto,
ma stava addormentato in una caverna, da dove un giorno sarebbe
ritornato alla vita. Il popolo riferi' poi questa leggenda al suo
avo Federico Barbarossa.